La ragade anale

 La ragade anale è una piccola ulcera (ferita) lineare o a forma di goccia posta nella parte più bassa dell'ano.

I SINTOMI

Essa è causa principalmente di dolore anale (trafittivo, tagliente, bruciante) e di minimo sanguinamento molto spesso scatenato dalla defecazione. Il dolore può durare da pochi minuti a diverse ore. Da segnalare poi l'andamento intermittente della ragade che presenta periodi di peggioramento alternati a periodi di benessere. In base all'aspetto ed alla durata del disturbo possiamo distinguere due tipi di ragade: acuta e cronica. La seconda può presentare, oltre all'ulcera, delle lesioni associate che ne caratterizzano la cronicità quali: all'esterno del canale anale la marisca sentinella, all'interno il pseudopolipo sentinella o la presenza di un ascesso e/o tramite fistoloso superficiale inoltre sul fondo dell'ulcera si possono vedere le fibre circolari del muscolo sfintere interno. Più frequentemente la ragade si presenta in sede posteriore (commissura posteriore) e più raramente in sede anteriore. La causa della insorgenza della ragade cronica è dibattuta. Da un lato abbiamo la teoria dell'ipertono sfinterico che causa un'ischemia relativa dall'altro l'ipertono è secondario al dolore causato dalla ragade ed è l'ipovascolarizzazione relativa delle commessure anali la causa della formazione della ragade. Resta comunque fondamentale il dato clinico che la riduzione dell'ipertono sfinterico è nella maggior parte dei casi seguito dalla guarigione o miglioramento dei sintomi causati dalla ragade anale. Ci sono poi altre cause predisponenti il formarsi di una ragade anale quali: infiammazioni locali (aniti, proctiti), stitichezza con emissioni di feci dure, diarrea, manovre digitali. Anche lo stato emotivo e le situazioni di stress sembrano incidere sulle riacutizzazioni periodiche della ragade anale.

L'INTERVENTO CHIRURGICO

Di rado l'indicazione chirurgica è posto per la ragade acuta. Per la ragade anale cronica ad oggi l'intervento chirurgico rappresenta il trattamento più efficace (ha i migliori risultati) rispetto alle terapie mediche: guarigione >95% dei casi con minore tasso di recidive. L'indicazione all'intervento chirurgico è dato dalla mancata risposta alla terapia medica conservativa e che è causa di importanti disturbi al paziente. L'intervento chirurgico prevede la sezione parziale e permanente del muscolo sfintere interno (muscolo involontario, non comandato dalla nostra volontà, deputato insieme allo sfintere esterno a mantenere la continenza a feci e gas) con il fine di ridurre l'ipertono del muscolo stesso e favorire così un'adeguata circolazione del sangue e quindi la guarigione della ragade. L'intervento può essere eseguito ambulatorialmente.

L'ANESTESIA

Nella maggior parte dei casi è eseguita un'anestesia locale che può essere o meno associata a sedazione (somministrazione e.v. di farmaci ansiolitici).

LE PRINCIPALI COMPLICANZE

Mi è stato inoltre spiegato che l'intervento comporta una serie di possibili complicanze, alcune immediate subito dopo l'intervento ed altre tardive. Tra le principali complicanze precoci possiamo avere la formazione di ematomi in sede di sezione del muscolo sfintere interno; l'ematoma può andare incontro ad infezione con febbre, dolore e formazione di un ascesso e con possibile fistola ano-perianale. Inoltre a parte momentanei (alcune settimane, alcuni mesi) episodi di incontinenza ai gas (perdita involontaria di aria dall'ano relativamente frequente nell'immediato postoperatorio). A distanza è molto rara una incontinenza permanente a gas e feci (per grave danno dell'apparato muscolare sfinterico secondario o a eccessiva o errata sezione chirurgica o alle complicanze infettive secondarie all'intervento stesso). Tutte le complicanze descritte possono comportare la necessità di altri interventi chirurgici per la cura e trattamento delle stesse. Sebbene non frequente la

recidiva della ragade è possibile anche dopo cura chirurgica.

A cura del Dott. Dott. Roberto Aloesio, Medico Chirurgo Specialista Proctologo

 

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BETULLA

  

BETULA ALBA 


FAMIGLIA:

Betulaceae

HABITAT:

Molto diffuso nelle regioni temperate e fredde (Alpi e Appennini).

PARTE USATA:

Le foglie

PROPRIETA' TERAPEUTICHE:

Ha attività diuretica, depurativa, antiinfiammatoria, digestiva.

EFFETTI COLLATERALI E CONTROINDICAZIONI:

Per uso interno evitare l’automedicazione.
Non usare in gravidanza, allattamento, insufficienza cardiaca e renale.
Controindicato in soggetti allergici ai salicilati.
Le foglie possono causare dermatite da contatto.

ANTICORPI ANTITIROIDEI

Definizione
Sono autoanticorpi diretti contro la tiroglobulina e contro particolari strutture delle membrane cellulari della tiroide (anticorpi antimicrosomiali).

Significato
la presenza di questi autoanticorpi è segno di parecchie malattie della tiroide. La prima è una particolare infiammazione della ghiandola (tiroidite di Hashimoto) che porta lentamente all'insufficienza tiroidea. Inoltre, gli ATA si notano anche nel 90 per cento dei casi di malattia di Basedow, cioè una delle forme dell'ipertiroidismo e nel 20 per cento dei casi di tumore della tiroide. valori elevati , però, si riscontrano anche nel 10 per cento dei soggetti normali.

Valore normale
da referto del laboratorio.

Modalità di esecuzione
su campione di sangue.

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Le piante medicinali neurosedative

Neurosedativi” sono quei medicamenti che agiscono sul sistema nervoso con azione calmante e moderatrice. Sono, per semplicità clinica, suddivisi in quattro principali categorie a seconda della loro specifica attività: depressori del sistema nervoso, antispasmodici, ipnotici ed analgesici.

I depressori del sistema nervoso combattono l’eccessiva eccitabilità provocando una diminuzione dell’attività riflessa e della sensibilità; possono inoltre far diminuire l’attività intellettuale e favorire il sonno. Possiedono in grado diverso queste capacità Hyoscyamus niger ( Giusquiamo nero ), Passiflora incarnata, Valeriana officinalis, Humulus luppulus (Luppolo), Lavanda angustifolia, Anthemis nobilis (Camomilla romana) e Matricaria chamomilla (Camomilla comune). 

Il Giusquiamo nero è una solanacea con caratteristiche chimiche e biologiche, simili alla Belladonna (alcaloidi principali: iosciamina, scopolamina, atropina), tossicità equivalente ma attività parasimpaticolitica inferiore per cui praticamente utilizzata soltanto in terapia omeopatica.  Le foglie ed i semi erano e sono utilizzati  come allucinogeni, per cui molti Paesi hanno vietato la coltivazione e promulgato l’estirpazione delle piante spontanee. L’uso cosmetico, in Italia, è vietato. E’ una pianta medicinale indicata da un punto di vista terapeutico come sedativa del sistema nervoso centrale, consigliata in caso di nevrosi spasmodiche quali agitazioni dei pazienti psichiatrici, melanconie ansiose, tremori da Parkinson. Per la sua azione analgesica e specifica sul nervo vago, il giusquiamo è anche indicato negli spasmi esofagei, gastrici, vescicolari, intestinali. Si somministra in polvere, tintura, pillole od enteroclisma. La pianta , per la sua elevata tossicità, va utilizzata con molta cautela e solo sotto stretto controllo medico.

La Passiflora è una passifloracea indicata per calmare gli stati di eccitazione nervosa come angoscia, isterismo, palpitazioni, disturbi nervosi della menopausa; ha inoltre proprietà antispasmodiche sonnifere. A scopo sedativo si utilizza in polvere, tintura od estratto fluido. Questa pianta rampicante dal fusto legnoso e dai fiori caratteristici, presenta foglie alterne lungamente picciolate, orbicolari o cordate alla base e profondamente divise in tre lobi ovali-acuti, finemente dentati, il cui centrale è il più sviluppato. La droga è costituita dai fusti legnosi muniti di foglie.  Contiene olio essenziale, notevoli quantità di flavonoidi, cumarine, fenoli acidi, fitosteroli. E’ cautamente sconsigliato il suo impiego durante la gravidanza e l’allattamento perché dosi massicce potrebbero essere controindicate per l’eventuale presenza di sostanze stimolanti uterine chiamate armaline, anche se la loro concentrazione varia molto a seconda dei luoghi d’origine e dello stadio di sviluppo della pianta al momento della raccolta. E’ una droga che può essere vantaggiosamente associata a salice bianco, biancospino, valeriana e melissa.

La Valeriana appartiene alla famiglia delle Valerianaceae, piante erbacee o suffruticose a foglie opposte e fiori disposti in infiorescenze cimose. Le principali sostanze conosciute a cui può essere attribuita l’attività sono sesquiterpeni ed iridoidi. E’ indicata come priva di tossicità; bisogna però ricordare che i valepotriati, in vitro, sono inibitori degli acidi nucleici, citotossici, mutageni e genotossici. Anche se nell’uomo il rischio è trascurabile, la maggior parte degli autori ne sconsiglia fortemente l’utilizzo in gravidanza. E’ una pianta ad azione multipla: sedativa in casi di ipereccitabilità psichica o sensoriale ed antispasmodica. La droga è costituita dalle radici e dal rizoma, che sono di colore bruno chiaro. Il rizoma breve e tozzo presenta nella parte inferiore numerose radici sottili e fragili, che gli si attorcigliano intorno mascherandolo. La frattura delle radici è netta e presenta un colore interno tendente al giallastro. La droga essiccata ha un caratteristico sapore valerianico ed è di sapore amaro. E’ indicata in tutte le forme di nevrastenia, nevrosi isteriche, ipereccitabilità psichica e sensoriale, nelle vampate da calore da menopausa, nell’insonnia. Come sedativo si somministra in polvere, tintura, pillole o sciroppo. Le cure a base di valeriana debbono essere praticate per periodi di 10 giorni, intervallati da 3 settimane di riposo, e ciò per evitare da una parte l’assuefazione e dall’altra la dipendenza. Come neurosedativo generale ed antinevralgico, è utile una terapia a base di valeriana e giusquiamo. Le proprietà sedative e miorilassanti delle radici di valeriana sono state confermate da numerosissimi studi farmacologici e clinici. Anche l’attività ipnotica è stata dimostrata in varie sperimentazioni cliniche controllate con placebo. Inoltre, diversamente da molti farmaci sedativi, non esiste alcun effetto sinergico fra le attività deprimenti della valeriana e quelle dell’alcool sul sistema nervoso centrale. E’ pertanto utilizzabile anche nel contrasto dei sintomi psichici della dipendenza da alcol, ovviamente evitando l’utilizzo della tintura madre.

Il Luppolo appartiene alle Cannabaceae  ed è un’erba perenne dioica a fusto volubile, con foglie profondamente divise in tre - cinque lobi ovali, acuti all’apice e dentati. I fiori femminili sono raggruppati in coni riuniti in grappoli alle estremità dei rami. Ciascun cono ovoide è costituito da numerose brattee fogliacee, giallastre e membranose a maturità, che si ricoprono l’un l’altra e che portano numerose ghiandole contenenti un’oleoresina di colore giallo-arancio: tali ghiandole rappresentano la droga e si presentano come una polvere granulosa, detta luppolino, dall’odore forte e dal sapore amaro.  E’ un leggero sedativo ed un tonico amaro gastrico, per la presenza di principi chetonici come l’humulone e il luppolone. Contiene inoltre estrogeni ed antiandrogeni. Per la sua azione neurosedativa, si utilizzano i coni polverizzati.

La Lavanda appartiene alle Labiatae ed è un blando sedativo che contiene, nelle sue infiorescenze, derivati terpenici ad azione sedativa sul sistema nervoso centrale. E’ consigliato il suo utilizzo non in infuso ma con la polvere delle infiorescenze.  La lavanda è un frutrice odoroso con rami legnosi alla base, erbacei e quadrangolari nella parte apicale. I fusti fioriferi portano lunghi spicastri con fiori piccoli, brevemente peduncolati con calice grigio bluastro e corolla blu-violetta bilabiata. 

La Camomilla romana è un’erba delle Asteraceae talora coltivata nei pressi di Roma, donde il nome di camomilla “romana”. I fiori sono riuniti in capolini del diametro di 1-2 cm caratterizzati da un involucro esterno di brattee verdi, da numerosi fiori femminili ligulati e bianchi nel raggio, e da fiori ermafroditi tubulosi e gialli nel disco, che è molto piccolo. L’odore è aromatico, caratteristico e diverso da quello della camomilla comune; il sapore è amaro. Contiene un olio essenziale il cui principale componente è il camazulene. E’ un sedativo molto blando, da assumere sotto forma di infuso.

La Camomilla comune è un’erba molto diffusa i cui fiori sono riuniti in capolini del diametro di 1-2 cm e sono simili a quelli della camomilla romana: queste due piante si distinguono per il ricettacolo che non è pieno e fornito di squamette, per  le ghiandole che  non sono corte, lucenti e gialle, e per il rivestimento delle brattee. L’odore è aromatico, il sapore è amarognolo. L’olio essenziale contiene camazulene in quantità maggiori rispetto alla camomilla romana.  Gli usi ed i modi di somministrazione sono gli stessi della camomilla romana: è un blando sedativo che trova inoltre impiego per usi riconosciuti anche in altri Paesi, come antinfiammatorio ed antispasmodico nelle coliche e crampi di stomaco, utero ed intestino. La reale azione della camomilla, sia romana che comune, è tuttavia molto dubbia.

Gli antispasmodici sono sedativi che possiedono un’azione diretta sulle fibre muscolari lisce delle quali ne diminuiscono l’eccitabilità; tale azione depressiva si esercita anche indirettamente tramite il sistema nervoso.  La droga antispasmodica più utilizzata è certamente Atropa belladonna (Belladonna), citiamo anche Conium maculatum ( Cicuta) e Melissa officinalis con una attività più leggera.

La Belladonna è una solanacea i cui alcaloidi tossici ( iosciamina ed atropina) sono presenti in tutti i suoi organi vegetali. 5 mg di atropina ( 2-3 bacche ) sono la dose letale per i bambini, 10 mg ( 6-7 bacche) per gli adulti.  Provoca diversi effetti collaterali quali allucinazioni, midriasi, tachicardia. I suddetti alcaloidi vengono assorbiti attraverso la pelle, con forte arrossamento cutaneo. (Uso cosmetico vietato dalla legge 713, allegato II°).

Numerose Farmacopee, tra cui quella Europea, riportano la droga: Atropa belladonna e l’atropina solfato è farmaco parasimpaticolitico, usato anche in Italia contro i dolori addominali ( attività anticolinergica), solamente su prescrizione medica. L’Atropa belladonna è una solanacea che deve la sua azione agli alcaloidi contenuti nelle foglie, ma anche nel resto della pianta: scopolamina, iosciamina e soprattutto atropina, la quale paralizza elettivamente tutti gli organi innervati dal sistema parasimpatico ed agisce direttamente sui nervi della sensibilità: essa costituisce quindi un valido sedativo in caso di nevralgie e dolori viscerali. La belladonna è un’erba perenne la cui tossicità può essere, come già detto, letale: attenzione soprattutto ai bambini che possono essere ingannati dai frutti neri e lucidi e scambiati con bacche edibili. Questa pianta è il rimedio per eccellenza che agisce su tutti gli organi ricchi di fibre muscolari lisce: bronchi, intestino, coledoco, utero, uretere,esercitando in tal modo un’azione terapeutica valida nell’asma bronchiale, negli spasmi della glottide, nelle coliche epatiche, nella dismenorrea, nei vomiti da gravidanza, nella cinetosi ed in molte nevralgie. Si somministra in polvere, tintura, pillole, sciroppo. 

La Cicuta, famosa per essere stata utilizzata da Socrate per suicidarsi, ha una dose letale per l’adulto calcolata in 500 mg di alcaloidi ( coniina, coniceina), corrispondenti a circa 7 grammi di foglie, mentre ad un bambino basta masticare una foglia per sentirsi male. I sintomi sono bruciore e paralisi della lingua, vomito, ipertermia, sino a morte per paralisi respiratoria senza alcuna perdita di coscienza.  La coniina, inoltre, penetra nell’organismo anche attraverso la pelle integra e le mucose (divieto di uso cosmetico , legge 713, allegato II°). La medicina scientifica ha già da lungo tempo abbandonato l’uso della droga (la quale NON figura in alcuna Farmacopea) che rimane di uso esclusivo in medicina omeopatica. Riesce quindi utile nelle turbe neuro-muscolari, negli spasmi delle vie respiratorie, nel’asma, nei crampi gastrici ed in altri disturbi simili.

La Melissa è un’erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Labiatae la cui droga è data dalle foglie, che presentano peli di rivestimento e peli secretori. E’ utile in tutte le affezioni di origine nervosa, nelle turbe cardiache di origine emotiva e nell’insonnia. In passato, la melissa veniva somministrata sotto forma di alcoolato e costituiva una medicina popolare nota con il nome di “acqua delle Carmelitane”. Oggi, si preferisce somministrarla in polvere. I suoi principi attivi sono costituiti da terpenoidi e da aldeidi (citrale e citronellale). Si utilizza nei quadri lievi di ansia ed insonnia, ovvero i più frequenti nella pratica medica quotidiana, dove l’uso di farmaci ansiolitici può obiettivamente risultare esagerato, sia per l’entità della patologia, sia per gli effetti negativi che questi farmaci possono avere sull’attenzione, sulla concentrazione e sulla vigilanza.  Ad alte dosi sviluppa proprietà analgesiche.   

Al gruppo degli ipnotici appartengono numerose piante in grado di sedare leggermente l’eretismo nervoso e di facilitare il sonno. Gli ipnotici particolarmente attivi, soprattutto quelli di sintesi, risultano essere spesso tossici, danno assuefazione o dipendenza, rallentano le capacità intellettive al risveglio e sono il più delle volte assunti senza che esista una reale necessità.  In medicina si possono trovare le proprietà tipiche di un blando ipnotico in molte piante medicinali. Passiflora, Valeriana e  Melissa le abbiamo già considerate, ma possiamo annoverare nel gruppo anche il Crataegus monogyna (Biancospino) ed il Papaver rhoeas .

Il Biancospino è una rosacea dalle proprietà anti-ipertensive e cardiosedative; costituisce, se somministrato in infuso, un leggero ipnotico. E’ tradizionalmente nota la sua azione sul sistema nervoso centrale su cui agisce come blando sedativo, eliminando così la componente emotiva di certe ipertensioni in individui a temperamento eretistico. E’ un arbusto dalle foglie di colore verde brillante e dai fiori bianchi o rosati riuniti in corimbi. Il frutto è una drupa e rappresenta la droga insieme alle infiorescenze. Si ritiene che l’attività sul miocardio sia risultante da una sinergia di diversi componenti, la cui azione è dovuta al contenuto in flavonoidi, soprattutto il biflavano. Può essere somministrata sotto forma di polvere, infuso, estratto fluido e tintura: la pratica ha però dimostrato che solo la polvere e la tintura sono veramente attive. 

Il Papavero nei petali contiene prevalentemente antociani (coloranti vegetali da cui deriva il brillante colore rosso) e i mucillagini nel frutto stelo, che li rendono un po’ collosi. Nel lattice compaiono tracce di alcaloidi (readina) ma nessuno con proprietà narcotiche tipici del papavero sonnifero (la  miscela detta “Oppio”). Anticamente, l’uso eventuale più comune (oggi cessato per la dubbia attività), era quello di sedativo per bambini, in tisana, somministrato prima di dormire. Attualmente permane soltanto l’impiego estetico di colorante per tisane e quello omeopatico contro gli stati di eccitazione. E’ riportato in Farmacopea Europea come “Papaveris rhoeados flos”.

Il papaver rhoeas è una papaveracea, una pianta erbacea annuale che cresce nei campi di grano e nei luoghi incolti. Ha un fusto alto fino a 60 cm e foglie profondamente divise. I fiori hanno petali rosso-scarlatto, con unghia nera. Contiene nei fiori quattro alcaloidi tra i quali la rhoeadina a leggera azione sedativa; con i petali si prepara un infuso a leggera attività ipnotica indicato in bambini ed anziani.

Tra gli analgesici, la pianta sovrana è il papavero da oppio (Papaver somniferum), la cui capsula contiene un lattice che esercita una forte azione sedativa sul dolore. Il papavero da oppio si presenta oggi come una droga esclusa dall’uso personale ma soggetta esclusivamente a stretta regolamentazione operativa da parte di aziende autorizzate alla preparazione e fornitura di preparati e medici esperti nel loro impiego. I principi attivi sono alcaloidi: morfina, narcotina, papaverina, codeina,tebaina,narceina. Essi esercitano nel loro insieme un’attività analgesica, soporifera e narcotica. L’alcaloide più abbondante è la morfina, che ha azione stereospecifica reversibile su recettori specifici presenti principalmente a livello del sistema nervoso centrale. Ha effetto analgesico, deprime fortemente la percezione nocicettiva, aumentando la soglia di percezione del dolore. Deprime, inoltre, i centri respiratori bulbari ed il centro della tosse, provoca miosi ed una diminuzione dell’attività ipofisaria. Dà dipendenza sia fisica che psichica. E’ una papaveracea a fusto dritto le cui foglie sono alterne ed oblunghe. I fiori solitari, grandi, possono essere bianchi, rossi o rosso-violacei.  Si adopera soprattutto nella sua varietà DC (fiori bianchi), utilizzando il decotto della sua capsula senza semi (arillo) o il suo lattice essiccato, l’oppio, in polvere. Va nuovamente sottolineato che si tratta di un medicamento da impiegare con estrema cautela e sotto stretta e continua sorveglianza medica.

Dr. Angelo Carli

Rettocele

 Il rettocele è un difetto molto frequente e viene definito un'erniazione della parete anteriore del retto in vagina, come conseguenza di un cedimento dell'impalcatura muscolare (muscoli elevatori dell'ano) del pavimento pelvico e del setto retto-vaginale.  Esso è spesso associato ad un prolasso della vescica e utero (prolasso urogenitale).  Cause della formazione del rettocele sono: gravidanze plurime, obesità, lassità dei tessuti muscolari per età e probabilmente una predisposizione genetica.

I SINTOMI

Sebbene nelle donne il rettocele sia di riscontro molto frequente, esso è solo occasionalmente causa di sintomi quali: dolore anale, tumefazione vaginale e stipsi. La stipsi di tipo terminale (out-let obstruction) comporta la difficoltà alla emissione delle feci, la sensazione di un alvo incompleto (persistenza dello stimolo dopo evacuazione), l'emissione in più volte di poche feci (pollacochezia), la necessità di un prolungato ponzamento fino alla necessita di aiutarsi con le dita mediante la pressione in sede perianale, sulla parete posteriore della vagina e fino alla estrazione manuale per agevolare la defecazione. A volte associata alla stipsi terminale possono coesistere alterazioni della minzione (incontinenza urinaria e/o difficoltà alla minzione).  Spesso il rettocele si inserisce in un quadro di sindrome da perineo discendente e diviene sintomatico in seguito ad interventi chirurgici quali l'isterectomia.

L'INTERVENTO CHIRURGICO

L'intervento di riparazione del rettocele viene consigliato in relazione al tipo e grado di disturbi riferiti e principalmente alla stipsi terminale. Esso deve essere consigliato dopo uno studio con una accurata anamnesi e rilevazione dei sintomi, una perineografia o ecografia perineale, un eventuale test urodinamico se presenti alterazioni della minzione e innanzitutto dopo un tentativo di correzione medica della stipsi terminale con adeguato periodo di integrazione alimentare con fibre e apporto idrico ed indicazioni comportamentali. A seconda del grado del rettocele sono previsti alcuni diversi tipi di intervento chirurgico. Nei casi in cui il rettocele è di piccole dimensioni (I° grado o digitiforme) si può procede ad una tecnica di correzione per via transanale mediante utilizzo di suturatrice meccanica che ha lo scopo di eliminare il tessuto rettale erniato. Nel caso le dimensioni siano maggiori (II°-III° grado)  si procede per via transanale o vaginale ad una tecnica di scollamento nel setto  divisorio dei due visceri (setto retto-vaginale) in modo da isolare quei muscoli divisi che hanno permesso la formazione della ernia; dopo di che si effettua una plastica di accostamento dei muscoli (miorrafia) o di plicatura della parete del retto.

L'ANESTESIA

L'intervento nella maggior parte dei casi prevede l'esecuzione di una anestesia spinale.

LE PRINCIPALI COMPLICANZE

L'intervento comporta una serie di possibili complicanze tra cui il sanguinamento, le infezioni urinarie, la formazione di ascessi. In rarissimi casi sono descritte lesioni del setto retto-vaginale con formazione di fistole retto-vaginali (specie nei casi complicati dalla formazione di ascessi); tale evenienza comporta: un prolungamento della degenza, necessità di numerose medicazioni, rischio di infezioni ricorrenti uro-genitali e la necessità di reintervento per correggere la fistola.

Anche i risultati, come mostrano i dati degli studi clinici, spesso dimostrano un sensibile ma parziale miglioramento dei sintomi e questo dipende dal fatto che la cura chirurgica del rettocele risponde solo in parte alle alterazioni anatomiche e fisiologiche del piano pelvico senza risolvere i vari aspetti delle patologie di questa area. Anche la recidiva deve essere considerata come complicanza. Nella tecnica di correzione del rettocele per via vaginale si può avere quale complicanza post-operatoria la comparsa di un restringimento dell'aditus vaginale con difficoltà al coito per la formazione di cicatrici retraenti della parete vaginale oppure quali conseguenza di processi infettivi post-operatori.

Sarà inoltre opportuno un adeguato periodo di astensione dall'avere rapporti sessuali dopo l'intervento (in media 1-2 mesi).

A cura del Dott. Dott. Roberto Aloesio, Medico Chirurgo Specialista Proctologo

 

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