La candidosi vulvovaginale rappresenta un capitolo di preminente interesse nella pratica ambulatoriale, essendo uno dei motivi che più frequentemente induce le donne a richiedere una consulenza ginecologica.
E’ stato calcolato infatti che il 75% delle donne manifesta almeno un episodio di candidosi vulvovaginale nell’arco della vita fertile e di queste il 45% svilupperà un secondo episodio; inoltre, una piccola sottopopolazione di donne adulte, anche se non superiore al 5%, manifesta forme ricorrenti o croniche, spesso resistenti alla terapia.
D’altra parte è ormai accertato che molte donne ospitano nell’ambiente vaginale la Candida Albicans ed altri lieviti come saprofiti[1], in perfetto equilibrio biologico con la normale microflora batterica. Sono le alterazioni di questo equilibrio che possono portare ad una fase sintomatica legata al venir meno di quei meccanismi che normalmente impediscono la rottura della stabilità dell’ecosistema vaginale.
Sebbene nel 90% dei casi le infezioni sintomatiche siano sostenute da Candida Albicans, le specie non albicans cominciano a mostrare una importanza clinica crescente. Lo sviluppo di specie non-albicans potrebbe essere correlato all’impiego estremamente diffuso di trattamenti antimicotici talvolta inappropriati (automedicazione, trattamenti ripetuti) che favorirebbero la selezione delle specie resistenti. La maggior frequenza della specie albicans sembrerebbe legata alla sua maggiore capacità di aderire all’epitelio vaginale. La frequenza delle infezioni da Candida glabrata è notevolmente aumentata negli ultimi anni (6%). L’importanza della specie glabrata è legata sia alla sua capacità di dar luogo a forme croniche e ricorrenti, spesso resistenti ai comuni antifungini imidazolici, sia alla difficoltà diagnostica derivante dalla sua scarsa tendenza a formare ife e pseudoife. Le vulvovaginiti da Candida glabrata sembrano manifestarsi più frequentemente in donne di basso livello socio-economico, con multipli partner negli ultimi 6 mesi, che fanno uso di tamponi igienici e hanno una età maggiore di 38 anni. La sintomatologia dell’infezione sostenuta dalla specie glabrata è spesso scarsa: lieve bruciore, scarso prurito, rara vulvite, minore frequenza delle tipiche perdite “a latte cagliato”.
I fattori, in generale, predisponenti all’infezione sono la gravidanza, il diabete mellito, la variazione dell’equilibrio ormonale specie in fase premestruale e nel periodo periclimaterico. L’utilizzo di antibiotici, contraccettivi orali, corticosteroidi, chemioterapici sono i fattori iatrogeni principali.
Anche le abitudini personali hanno una grande valenza: l’uso di abiti aderenti e sintetici, l’uso di tamponi vaginali, l’utilizzo di spray deodoranti per l’igiene intima o di salvaslip, l’utilizzo per l’igiene intima di bagnoschiuma normali e non ultimi i bagni in piscina.
Numerosi autori indicano l’esistenza di una relazione tra il numero delle infezioni sintomatiche e una dieta particolarmente ricca di carboidrati. Peraltro è senz’altro consigliabile nelle forme ricorrenti la prescrizione di un regime dietetico ben bilanciato, in cui l’apporto di zuccheri sia limitato.
Si parla di vulvovaginite ricorrente da Candida quando si manifestano almeno 4 episodi sintomatici in un anno. Alcuni dati fanno ritenere che gli episodi ricorrenti siano attribuibili alla presenza di un serbatoio endogeno intestinale o ad un effetto “ping pong” per mancata eradicazione dell’infezione dal partner.
Il sintomo dominante è il prurito, che può manifestarsi in maniera più o meno intensa. Di solito è precoce, a volte intermittente, mentre in altri casi può presentare recrudescenze notturne, durante la fase premestruale o dopo i rapporti sessuali.
Il grattamento provocato dal prurito aggrava le lesioni. Si formano così erosioni, ragadi, fino ad arrivare a vere e proprie ulcerazioni. Durante i rapporti sessuali e la minzione le lesioni secondarie provocano bruciore. Nei casi lievi si assiste solamente a dispareunia[2],specie nelle nullipare. Altre volte si lamenta solo un fastidio o senso di irritazione che si aggravano camminando o in posizione seduta, in particolar modo indossando indumenti aderenti. In fase acuta la vulva appare edematosa, mentre la mucosa vestibolare è di solito eritematosa e secca o può essere ricoperta da un essudato biancastro. La cute della regione perianale appare arrossata. Elemento caratteristico è la comparsa sulla faccia interna delle cosce e sui solchi genito-crurali di piccole pustole molli separate dalla lesione primaria vulvare. La forma acuta è ad esordio improvviso e si manifesta di solito in donne gravide od obese oppure dopo terapia antibiotica.
I consigli principali per la prevenzione e il trattamento sono quindi il seguire una dieta povera di zuccheri e/o carboidrati; utilizzare biancheria intima di puro cotone, non colorata, in modo da favorire la traspirazione ed evitare fenomeni irritativi legati alle fibre sintetiche e alla presenza di coloranti. L’uso del preservativo si è dimostrato efficace nel ridurre il numero delle ricorrenze in una sottopopolazione di donne con reazione allergica nei confronti di alcune componenti del liquido seminale. Si sconsiglia l’uso incongruo di tamponi interni, detergenti, spray deodoranti, bagnoschiuma che possono irritare la mucosa e facilitare la proliferazione della Candida.
Una valida alternativa ai comuni prodotti per l’igiene intima è rappresentata dagli olii detergenti (olio di germe di grano, olio di iberico, olio di canapa) che rispettano il film lipidico cutaneo e forniscono sostanze ad azione antiossidante. Dopo l’igiene intima l’asciugatura deve essere quanto mai accurata eliminando ogni possibile traccia di umidità. Le salviette usate a questo scopo debbono essere strettamente personali, cambiate ogni giorno e lavate a temperatura elevata.
Per effettuare una corretta asciugatura si deve procedere dall’avanti all’indietro per evitare contaminazioni. Il sapone “Marsiglia”, essendo costituito solo da prodotti aturali e privo di soda caustica e di coloranti, può essere usato per il lavaggio della biancheria intima in sostituzione dei normali detersivi. In caso di infezione è opportuno sospendere, inoltre, la pillola anticoncezionale.
Sul piano alimentare è opportuno anche evitare aceto, alimenti fermentati, cereali contenenti glutine (avena, frumento, orzo, segale), cioccolato, formaggi stagionati, frutta essiccata, germogli, lievito e zucchero in ogni forma. Eliminare anche per un mese agrumi e frutti acidi (ananas, arance, limoni, pomodori, pompelmi). Questi frutti hanno una produzione alcalina e permettono alla Candida di prosperare. Mangiare invece carne e verdure oltre che yogurt.
Il trattamento fitoterapico tradizionale prevede l’uso di lavande e ovuli vaginali con piante ad azione disinfettante, antinfiammatoria ed eutrofica (Firenzuoli,1992), oltre che ad una terapia interna.
L’olio essenziale di Melaleuca alternifolia è il fitofarmaco di prima scelta in associazione con lavaggi a base di tinture madri di Idraste, Agrimonia e Calendola.
L’Aglio , nelle forme inodori, viene utilizzato come inibitore della crescita di organismi infettivi con ottimi risultati. L’acido caprilico, inoltre, distrugge il fungo Candida.
La Calendola mostra attività eutrofica per la mucosa vaginale e un’attività antimicrobica non comune: antibatterica, fungicida e antitrichomonas. L’utilizzo dei fitofarmaci è un valido sostituto alla terapia di sintesi antimicrobica e antinfiammatoria.
Va inoltre accompagnata ad una integrazione di vitamine del gruppo B con aggiunta di biotina in quanto la candidosi è spesso associata a malassorbimento.
Dr. Angelo Carli
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