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In Italia il concetto di Fitoterapia, intesa come disciplina medica che utilizza piante medicinali e derivati nella prevenzione e cura delle malattie, è molto recente. Da soli 20 anni circa si è cominciato a parlare di Fitoterapia come atto medico, mentre prima si conosceva unicamente la realtà dell’erboristeria, cui peraltro va riconosciuto il merito di aver mantenuto alto l’interesse verso questa disciplina.
In realtà, l’uso per scopi medici delle piante è antichissimo e prende origine dalle pratiche di medicina popolare o medicina tradizionale, generalmente ancorate al retroterra culturale di ogni popolazione. Ancora oggi, in oriente come in occidente, il ricorso alle erbe medicinali è spesso basato sulla tradizione, e sulla dottrina umorale.
Al contrario, la Fitoterapia propriamente detta, altresì etichettabile come “Fitoterapia occidentale”, non segue particolari filosofie o credenze religiose, né metodologie diagnostiche o terapeutiche diverse da quelle della medicina scientifica, semmai richiede ed impone una verifica scientifica delle conoscenze, affidateci dalla tradizione, la cui definizione dovrebbe essere pertanto circostanziata a “disciplina medica che utilizza piante medicinali e derivati nella prevenzione e cura delle malattie, relativamente alle proprietà farmacologiche dei costituenti chimici presenti nella pianta e/o nel preparato utilizzato”. [ Firenzuoli 2002]
La moderna industria farmaceutica utilizza numerose sostanze di origine vegetale come fonte per molecole necessarie per la sintesi dei farmaci: la diosgenina, presente in Dioscorea spp, rappresenta la molecola utile per la sintesi di steroidi, così come l’acido salicilico estratto dal Salix spp, e dalla Spiraea Ulmaria ( da cui tra l’altro deriva il nome di Aspirina) è la molecola base dalla cui acetilazione si ottiene l’acido acetil-salicilico.
Nel Regno Unito la prevalenza d’uso della Fitoterapia è di circa il 20% della popolazione, negli USA il 19%. In Italia,pur se in aumento, risulta del 4,8%, quindi decisamente inferiore a quella riscontrata in altri paesi. Le motivazioni per le quali gli Italiani hanno fatto ricorso alla Fitoterapia sono state per migliorare la qualità di vita (44%), per trattare sintomi dolorosi (27%), per il trattamento di patologie acute (15%) o croniche (9%) e per problemi legati alla sfera psicologica (5%). Oltre l’80% degli utilizzatori ha dichiarato di aver ottenuto ampi benefici. C’è però, e va sottolineato, un’alta percentuale di utilizzatori ( si stima il 41%) che non informa il proprio medico curante di fare uso di prodotti a base di piante, arrivandoci per consiglio di amici o conoscenti o per lettura su riviste del settore, assumendosi la responsabilità di un rischio non indifferente.
Di fatto i rischi maggiori vengono abitualmente proprio dall’automedicazione non controllata, che spesso avviene senza parere specialistico e dall’uso di prodotti qualitativamente non sicuri, contenenti spesso numerose erbe, o preparate in modo non adeguato, o utilizzate in dosi non corrette o per la presenza di specifiche controindicazioni.
Altro rischio reale è quello che origina dalla contemporanea assunzione di erbe e farmaci di sintesi. In ultimo, non certo per importanza, è da rimarcare il frequente e rischioso ricorso a “prodotti naturali” in corso di gravidanza e allattamento che, ovviamente in buona fede, vengono assunti proprio allo scopo di evitare farmaci di sintesi.
Rischi di eventi avversi sono relativi alla possibilità di contaminazione esterna (pesticidi, metalli pesanti, fertilizzanti), micotossine e sostanze tossiche presenti naturalmente dentro alla pianta, oppure a vere e proprie piante tossiche accidentalmente ingerite (es. Cicuta, Ricino, Aconito, Oleandro, Mughetto, Stramonio…).
Possibili agenti naturali responsabili di reazioni avverse prevedibili sono le furocumarine per le loro proprietà fotosensibilizzanti, o sostanze francamente allucinogene come invece i cannabinoidi, la mescalina, la Salvia divinorum e l’Argireja nervosa. Sostanze responsabili di reazioni allergiche anche gravi sono la Propoli, l’Aglio, l’Echinacea, il Partenio e la stessa Camomilla, così come i salicilati presenti in piante medicinali ben note. Alte dosi di Liquirizia per brevi periodi o basse dosi per lunghi periodi possono essere responsabili di ipopotassiemia,ipertensione arteriosa e rabdomiolisi; mentre l’uso protratto nel tempo di lassativi antrachinonici (Senna, Cascara, Frangola, ecc) provoca danni irreparabili alla mucosa del tratto intestinale e squilibri idroelettrolitici.
Tutte le piante dotate di una loro specifica attività biologica possono interagire con farmaci di sintesi potenziandone o riducendone gli effetti previsti: i due esempi classici sono rappresentati dal succo di pompelmo, che aumenta la biodisponibilità e la tossicità di molti farmaci (calcioantagonisti, statine, psicofarmaci) ed al contrario l’Iperico per la sua attività di induttore enzimatico, il quale ne riduce i livelli ematici (ciclosporina, digitale, teofillina, antiretrovirali, anticoagulanti orali).
Il problema delle controindicazioni e interazioni dipende anche dalla composizione dell’estratto utilizzato: ad esempio la lecitina di soia non presenta controindicazioni, mentre gli estratti di soia, ricchi in isoflavoni, sono controindicati nelle donne affette da patologia neoplastica estrogeno dipendente o in terapia con Tamoxifene.
Dr. Angelo Carli
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