Cibo come comunicazione
In un unico atto coesistono funzione biologica e sociale, con tutte le sfumature psicologiche, simboliche e affettive. Essere nutriti è la prima attività sociale ricorrente che sperimentiamo quando veniamo al mondo.
Nell’allattamento i turni di attività-pausa durante la suzione rappresentano la prima forma di dialogo tra il neonato e il caregiver (alcuni studi hanno evidenziato come le madri tendono ad interagire in sincronia con il ritmo attività/pausa del bambino, rimanendo più tranquille e inattive durante le poppate e parlando e accarezzando il bambino durante la pause).
Il cibo è anche il primo campo d’azione dei conflitti emotivi, in quanto luogo di gratificazione, controllo e potere. Intorno al cibo iniziano a crearsi fin da subito azioni e reazioni complesse che da un lato richiamano aspetti legati al piacere, all’amore e alla gratificazione ma dall"altro richiamano la loro controparte di potere, odio e rabbia. Fin dai primi mesi di vita si intreccia uno scambio relazionale fra bambino e genitore fatto di gratificazione, frustrazione, reazioni distruttive e riparative che saranno alla base della capacità relazione del futuro individuo adulto.
A loro volta i genitori reagiscono sulla base delle proprie esperienze evolutive, diventando particolarmente protettivi e ansiosi o incoraggiando l’autonomia del bambino.
Tornando a Freud e alla sua idea che l"amore nasca dal “bisogno soddisfatto di nutrimento” abbiamo capito che nutrire non è un atto meccanico proporzionale alla quantità e alla qualità del cibo.
Questo l"ho toccato con mano durante la mia esperienza in contesti di emergenza quando un medico impegnato in un progetto di malnutrizione infantile mi spiegava che non tutti i bambini cui venivano somministrati le stesse dosi di potenti integratori alimentari recuperavano peso e salute. A proposito del mio ruolo di psicologa nel progetto mi disse che aveva capito che bisognava lavorare con i genitori e supportare la relazione genitore-bambino se si voleva ottenere il risultato sperato per il bambino malnutrito.
Forse non saremo in grado di ricordare – almeno coscientemente - le sensazioni che abbiamo provato da molto piccoli, però sappiamo quanto sia incredibilmente buono un pasto anche semplice se consumato in condizioni molto gradevoli, così come diventi immangiabile un ottimo cibo, se consumato in stato di grande frustrazione.
Un altro importane elemento di cui tener conto è il rapporto tra attesa e gratificazione. Il bambino, come l"adulto, deve sentirsi almeno un po" affamato per poter godere del senso di sazietà e sviluppare riconoscimento verso chi lo nutre.
Qui ci è di grande aiuto Winnicot con il suo fondamentale concetto di madre sufficientemente buona. Un genitore sufficientemente buono deve insegnare gradualmente al proprio bambino che il mondo esterno non è al suo completo servizio ma che l’ambiente che lo circonda lo ama e si occupa di lui anche quando non risponde immediatamente alle sue richieste. In questo modo il bambino sviluppa la capacità di saper posticipare il soddisfacimento dei propri bisogni, saper attendere e saper anche accettare una frustrazione, competenza fondamentale nello sviluppo di un adulto equilibrato.
Per poterlo fare il genitore deve anche lui imparare a fare i conti con gli attacchi rabbiosi e che seguono la frustrazione nel bambino e trovare l’equilibrio ottimale tra gratificazione immediata e posticipata dal momento che per il genitore è certamente un’esperienza dolorosa imporre un certo grado di dispiacere al proprio figlio.
In tutta questa dinamica i bambini, tutt"altro che passivi, si impongono fin da subito come agenti attivi gratificando o frustrando, a loro volta, chi desidera nutrirlo.
Ai due estremi possiamo identificare il bambino avido e il bambino rifiutante, questi due opposti rispecchiano due opposte modalità di difendersi da esperienze emozionali difficili: in un caso il bambino reagisce cercando di divorare tutto allo scopo difendersi, riempendosi, dall"ansia e dal vuoto che genera depressione, nell"altro estremo rivela un atteggiamento estremamente sospettoso nei confronti di ciò che dovrebbe nutrirlo, come se dubitasse dell"amore incondizionato di chi lo nutre e/o della bontà di ciò che gli viene offerto (Winnicot).
Entrambi questi stati sono collegati ad un senso di angoscia profonda, un disturbo emozionale che trova nel rapporto con il cibo il modo di esprimersi. Bisognerebbe quindi fare attenzione ad incoraggiare o giustificare troppo un bambino più vorace che goloso, così come a non interpretare come semplici capricci le reazioni di un bambino che si rifiuta categoricamente di mangiare.
Nello sguardo materno
Ed infine non si poteva concludere senza fare accenno ad un importantissimo elemento nutritivo: lo sguardo materno (o meglio dire genitoriale).
Durante il periodo dell’allattamento il bambino è chi lo nutre, vivono una relazione esclusiva. In questi primissimi mesi, lo sguardo riveste una funzione fondamentale, è nello sguardo della madre che il bambino si riconosce, proprio come se si guardasse in uno specchio (D.Winnicot), durante il pasto il bambino non si nutre solo del cibo ma anche dello sguardo di chi lo nutre. Questo sguardo è uno specchio molto speciale, in quando rimanda al bambino l"immagine che l"altro si fa di lui. Un’immagine fatta di emozioni, sensazioni e pensieri.
Attraverso lo sguardo e il contenimento fisico del genitore il bambino inizia a percepire e riconoscere i propri confini e quindi a sentire se stesso.
Tutte le azioni e le sensazioni che accompagnano l’assunzione di cibo servono al bambino a costruire la prima immagine di sé attraverso la persona che si prende cura di lui, allo stesso modo in cui i nutrienti del latte costruiscono tessuti, ossa e muscoli.
Dott.ssa Giorgia Micene, Psicologa e Psicoterapeuta
Bibliografia
P. Rozin, in THE SELECTION OF Food BY RATS,HUMANSAND OTHERS ANIMALS,Universita`della Pennsylvania
S.Freud Compendio di Psicoanalisi
M. Pollan “Il dilemma dell’onnivoro
Winnicot Dalla pediatria alla psicoanalisi